Dal Vangelo secondo Marco
Mc 9,2-10
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e
Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro
soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero
splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra
potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con
Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola,
Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui;
facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una
per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano
spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra
e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio,
l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi
attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con
loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non
raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo
che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi
tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse
dire risorgere dai morti.
Strettamente connessa con i concetti di un Dio sofferente e di un Dio
diveniente è l’idea di un Dio che si prende cura, di un Dio che non è
lontano e distante e chiuso in se stesso, ma coinvolto in ciò di cui si
preoccupa. Qualunque sia stata la condizione iniziale e originaria della
divinità, essa cessò di essere chiusa in se stessa nel momento in cui si
mise in relazione con l’esserci di un mondo, o creandolo o
permettendone l’origine. Che Dio si preoccupi delle sue creature, è,
com’è noto, uno dei principi fondamentali della fede ebraica. Ma il nostro
concetto intende sottolineare l’aspetto meno conosciuto, il fatto che
questo Dio che si prende cura non è un mago, che nell’atto stesso di
prendersi cura realizza lo scopo della sua sollecitudine: questo Dio
invece ha fatto intervenire altri attori e in questo modo ha fatto dipendere
da loro la sua preoccupazione. Egli è perciò un Dio in costante situazione
di pericolo, un Dio che rischia in proprio.
Hans Jonas
(1903-1933)
Il contesto scritturistico. Siamo al capitolo nono; il ministero pubblico di
Gesù è iniziato al capitolo 1 versetto 14, subito dopo la prova del deserto
(1,12-13). Al capitolo 11 inizieranno gli eventi gerosolimitani che si
compiranno davanti alla tomba (fine del capitolo 15), prima conclusione
autenticamente marciana. Nello specifico la perícope in esame è
preceduta dalla professione di fede di Pietro (8,27-30), dal primo
annuncio della passione (8,31-33) e dall’esplicitazione delle condizioni di
sequela (8,34-9,1).
Il contesto liturgico. Siamo alla seconda domenica di quaresima, quella
che ci coglie subito dopo essere stati sospinti nel deserto. Abbiamo
bisogno di riconoscere il Volto di chi ci sta chiamando e possiamo farlo
sono nel suo riflesso: « O Dio, Padre buono, che hai tanto amato il
mondo da dare il tuo Figlio, rendici saldi nella fede, perché, seguendo in
tutto le sue orme, siamo con lui trasfigurati nello splendore della tua
luce», dice la Colletta. Il Figlio traccia con le orme il cammino di ritorno al
Padre, un cammino appassionante, che richiede fede. La prima lettura ci
parlerà della prova di fede appassionata di Abramo (Gen
22,1-2.9.10-13.15-18), il salmista ci canterà l’appassionante speranza
che ha mosso i suoi passi di esule (Sal 115) e Paolo ci spronerà senza
mezzi termini: «Fratelli, se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?» (Rm
8,31b-34). Dopo lo smarrimento del deserto, ritroviamo il nostro posto,
dietro al Maestro che porta la Croce.
Elementi eloquenti:
«Fu trasfigurato» (μετεμορφώθη, metemorfōsé): un passivo teologico! È
Dio all’opera, anzi, Gesù è l’opera che racconta un Dio che si prende
cura dei suoi Figli. Dopo ci sono dei segni che semplicemente rendono
manifesto ciò che già era stato presentato: la predilezione di Dio.
La nube e la voce sono due elementi che mettono la firma di Dio negli
eventi degli uomini. Sono elementi, se non ambigui, almeno ambivalenti.
La nube si vede, ma per farlo adombra; la voce si sente, ma nel dire
nasconde. Emblematico l’ordine: dalla visione all’ascolto, perché la fede
non e illuminazione, ma fiducia.
E poi la nube e la voce, una volta rivelato colui che era il loro
interlocutore, scompaiono: Dio si nasconde, mostrando il Figlio.
L’elezione e la predilezione come dinamica creativa e, dunque,
apocalittica: Dio crea «trattenendo il respiro», il suo velarsi è lo
svelamento dell’esistenza. «Come produsse Dio il mondo, come lo creò?
Come un uomo trattiene il respiro, e si contrae in se stesso, in modo che
il poco possa contenere il molto, così anche Dio contrasse la sua luce di
una spanna, e il mondo rimase come tenebre»
Sta di fatto che questa metemorfōsé è una sorta di investitura, una
chiamata che si traduce in una estetica: dalla nube, alla voce, al volto;
non vedere, ascoltare, riconoscere.
Siamo di fronte alla trasfigurazione della Passione o forse alla rivelazione
che la Passione è la vera Trasfigurazione? I discepoli non
comprenderanno il Risorto, se non stringendosi al Crocifisso (in Mc non
c’è racconto di Resurrezione).
Il velo che si squarcia…non l’assenza del velo, ma la presenza di uno
squarcio: questa è la rivelazione.
Cosa dice a me questa Parola
C’è un tempo di silenzio, di faticosa assenza di senso. Un tempo di obbedienza che è dipendenza dall’iniziativa di un altro. La vera fatica è seguire, senza conoscere altro, se non Colui che mi sta portando dove io
non so.
…se non dopo…
Cosa dice di me questa Parola
Salire sul monte, scendere dal monte: la trasfigurazione è una fatica!
Il Figlio amato e il Fratello crocifisso: stessa persona, mai separabile.
Così risulta falsante l’ingratitudine che ci fa vivere da orfani scontenti;
così è aberrante l’ostilità che ci fa vivere da antagonisti rabbiosi. La
Trasfigurazione è la combinazione esplosiva di gratitudine e passione,
dunque è la formula chimica della vita eucaristica: poveri noi quando, di
fronte a chi domanda continuamente il pane che siamo, offriamo la pietra
che preferiamo essere (cf Vangelo di ieri, Mt 7,7-12).
Cosa dice del mondo questa Parola
Guardati attorno, cerca il deserto in cui sei spinto. Lo riconoscerai: non è un tuo sentire, ma un lasciarti muovere; non è attrazione, ma desiderio. E non spaventarti della tentazione che vorrà nasconderti la prova. Di che cosa è prova questo deserto? Cosa provi in questo deserto? Raccontati la prova nella tentazione, e avrai riconosciuto il Paradiso nel deserto.
Se ti chiedessi sull’amore probabilmente mi diresti un sonetto. Ma
guardando una donna non sei mai stato del tutto vulnerabile… non ne
conosci una che ti risollevi con gli occhi, sentendo che Dio ha mandato
un angelo sulla terra solo per te, per salvarti dagli abissi dell’inferno. Non
sai cosa si prova ad essere il suo angelo, avere tanto amore per lei, vicino
a lei per sempre, in ogni circostanza, incluso il cancro. Non sai cosa si
prova a dormire su una sedia d’ospedale per due mesi tenendole la
mano, perché i dottori vedano nei tuoi occhi che il termine “orario delle
visite” non si applica a te. Non sai cos’è la vera perdita, perché questa si
verifica solo quando ami una cosa più di quanto ami te stesso: dubito
che tu abbia mai osato amare qualcuno a tal punto.
(Will Hunting – Genio Ribelle)